“Terrore e paura, ma siamo a casa, tutti e tre!” - La testimonianza di Carlo e Debora sulla terribile esperienza del naufragio del Costa Concordia

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Data:

martedì, 24 gennaio 2012

Carlo e Debora

Descrizione

LAGNASCO – Ascoltarla da chi l’ha vissuta in prima persona, la tragedia del mare dell’Isola del Giglio appare, se possibile, ancora più terrificante.

Nel naufragio della Costa Concordia, uno dei fiori all’occhiello del gruppo genovese, c’era anche una famiglia lagnaschese: Debora e Carlo Lombardo con il piccolo Christian, che hanno fatto ritorno a casa sani e salvi nella serata di sabato scorso.

Meno di ventiquatt’ore prima si erano visti la morte in faccia: «È stato terribile, un’esperienza tremenda – commenta Carlo – stavamo cenando, d’improvviso abbiamo sentito una botta fortissima, poi è mancata la luce e nel buio si sentiva tutto che cadeva, comprese le persone, la gente urlava. Una scena di panico generale, eravamo come delle biglie impazzite in una scatola».

Doveva essere l’ultima sera a bordo della Concordia, una vera e propria città galleggiante dotata di ogni comfort, che li aveva portati nelle più belle località del Mediterraneo. Una settimana di meritato riposo ad interrompere il duro lavoro da panettiere e l’avvio dell’attività di macelleria aperta in paese nell’agosto scorso, sulla nave che già li aveva ospitati nel 2007 in occasione del viaggio di nozze. Con Carlo e Debora, 25 anni lui, 24 lei, questa volta c’era anche il piccolo Christian di tre anni: «Non ha mai pianto, ma ha sempre tremato, l’ho sempre tenuto stretto a me finché siamo stati sulla terra ferma. Un trauma che cercheremo di farle superare anche con l’aiuto di uno psicologo».

Le fasi successive all’urto con lo scoglio che ha provocato il naufragio, sono state ovviamente concitate: «Ci abbiamo messo circa 40 minuti a raggiungere il ponte dov’erano le scialuppe – dice la giovane coppia - la cosa assurda è che, nonostante la nave fosse visibilmente inclinata, il comandante continuava a dire che era un problema elettrico, che si sarebbe risolto. Forse era per non creare ulteriore panico; c’è da dire che buona parte dell’equipaggio ha fatto di tutto per portare in salvo il maggior numero di persone. La gente urlava, si accalcava, dalla parte alta non si riuscivano a calare le scialuppe, tutti si sono riversati nella parte inclinata».

Momenti terribili, che richiamano alla mente le immagini della finzione cinematografica del Titanic, anch’essa purtroppo riferita ad una storia vera. «Siamo riusciti a salire su una scialuppa, e nonostante le urla di disperazione, il buio ed il freddo, abbiamo raggiunto l’Isola del Giglio prima di mezzanotte. Qui abbiamo avuto un’accoglienza ottima: la gente del posto si è prodigata in ogni modo, la farmacia ed i negozi hanno aperto fornendo gratuitamente i beni di prima necessità, coperte e acqua». Gratuitamente, perché tutto, soldi compresi, sono rimasti in quell’inferno di acqua: «Solo quando siamo stati a terra, ci siamo resi conto che eravamo vivi, ma che avevamo perso tutto il resto. Ci rimanevano i vestiti che indossavamo e basta: valigie, telefono, chiavi della macchina, documenti, tutto è andato perso». Passato il trauma, il mesto rientro a casa: «Ci hanno ospitato per la notte in un asilo, poi il trasferimento in traghetto a Porto Santo Stefano e cinque lunghe ore di pullman fino a Savona. La Costa, unitamente alle forze dell’ordine, una volta a terra, ci ha prestato la massima assistenza».

Nel pomeriggio di sabato il rientro a casa, per cercare di ritornare alla normalità e dimenticare un incubo che il destino poteva trasformare in tragedia; rinviata la riapertura della panetteria, per un braccio dolorante e per le numerose pratiche da sbrigare.

Un’esperienza che non sarà facile dimenticare, ma che è già importante poter raccontare, come ha sintetizzato Debora domenica mattina sulla sua pagina di Facebook: “Terrore e paura, ma siamo a casa, tutti e tre!”oscar fiore

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